Un progetto di ricerca denominato Forensic Oceanography condotto grazie al supporto dell’European Research Council, presso il Centre for Research Architecture di Goldsmiths, Università di Londra, si propone attraverso l’uso di varie tecniche di analisi e rappresentazione dello spazio, di documentare le violazioni dei diritti dei migranti che avvengono ai confini marittimi dell’Unione Europea.

Il progetto, coadiuvato da altre organizzazioni e da attivisti, vuole sperimentare modi di agire politico che evidenzino la responsabilità delle migliaia di morti che avvengono durante le “migrazioni clandestine” nel contesto della progressiva militarizzazione e moltiplicazione delle frontiere.

Il concetto di Forensic, indica l’influenza delle tecniche scientifiche di indagine e ricostruzione di episodi di violenza, che potrebbero avere valenza in ambito legale. Nel tentativo di esaminare criticamente il ruolo che queste nuove forme di testimonianza possono giocare nell’ambito del diritto e della politica internazionale, il nostro progetto si propone quindi anche, più in generale, di riflettere su come certi eventi storici e politici possano venire registrati dall’ambiente in cui viviamo e di immaginare nuovi laboratori di dibattito, dissenso e mobilitazione attorno a tali forme di prova”. Questa, una delle motivazioni che hanno riferito gli studiosi che si occupano del progetto.

Partendo  dall’analisi dell’arrivo di un  barcone nei pressi delle nostre coste, la scena è piuttosto comune: una motovedetta della Guardia Costiera che lo scorta. I migranti vengono ben presto catturati, perché sono stati resi  visibili. Ma si potrebbe dire, esattamente il contrario, perché  in realtà, non è possibile distinguere fra questi due momenti, in quanto la cattura può avvenire solamente a condizione che la “clandestinità” sia stata interrotta.

Questo processo, tuttavia, non riguarda certo solo coloro che entrano in Europa attraverso le frontiere marittime ma interessa tutti coloro ai quali è negato un accesso legale al territorio europeo e che, in modi diversi, cercano nei fatti di esercitare comunque quello che Sandro Mezzadra ha definito ormai diversi anni fa “diritto di fuga”. È noto infatti che la maggioranza dei migranti che risiedono “illegalmente” sul territorio europeo sono inizialmente entrati con un regolare documento di ingresso e sono poi rimasti oltre il termine legale del loro soggiorno. In questo caso, dunque, l’ingresso nel territorio europeo avviene in condizioni di piena visibilità e la condizione di clandestinità subentra solamente in un secondo momento, con un ritardo temporale”. (Dal rapporto dei ricercatori del progetto.)

Mentre le agenzie nazionali e internazionali si occupano del controllo dei confini,  nel tentativo di rendere il cosiddetto fenomeno delle migrazioni più conoscibile, prevedibile e, in fin dei conti, governabile. Nonostante le  sostanziali differenze, nello svolgere  il loro ruolo di controllo e salvataggio, tutte queste organizzazioni, si adoperano a rendere visibile ciò che avviene al confine.

A questo proposito leggiamo, sempre, nel rapporto Forensic, che “In tutti questi strumenti di visione che accompagnano i migranti dal mare aperto fino ai porti della riva nord del Mediterraneo iniziamo a scorgere la presenza di un apparato visivo che trasforma l’intero mare in una sorta di studio di produzione. Le condizioni di visibilità che si vengono così a produrre sono inestricabilmente legate al controllo dei corpi e alla produzione della nuova condizione di ‘illegali’. Tali strumenti visivi non documentano semplicemente un evento che preesiste alla loro presenza. Piuttosto, è la presenza stessa di quegli stessi strumenti che crea il palcoscenico sul quale va in scena lo spettacolo dell’immigrazione ‘illegale’. Il numero di video che é stato girato e fatto circolare nel 2011 ha chiaramente contribuito a rafforzare quell’immaginario dell’invasione, che, a sua volta, ha giustificato l’utilizzo di mezzi ‘eccezionali’ per far fronte all’arrivo dei migranti. Il tutto secondo una logica che qualche anno fa il teorico dei media Florian Schneider, riferendosi alle immagini diffuse dai telegiornali del tragico tentativo di varcare le fortificazioni, che circondano l’enclave spagnola di Ceuta, ha definito ‘scandalizzazione del confine“.

Anche le immagini satellitari sono diventate uno strumento per scansionare le migrazioni, difatti, molti satelliti equipaggiati con sensori ottici o radar monitorano, di continuo, la superficie del mare, individuando, così,  la presenza di grandi imbarcazioni.  Un altro strumento efficace per la localizzazione è l’intercettazione dei telefoni satellitari, che spesso i migranti portano con sé per chiamare aiuto nell’eventualità di un’avaria.

Se, inizialmente, questo tipo ti monitoraggio appariva  distinto in due ambiti:  da una parte la logica di clandestinità dei migranti e dall’altra quella di volontà di trasparenza assoluta dei controllori delle migrazioni, in effetti, sembra che sia “perturbato” da zone grigie che possono favorire l’emergere di ambiguità e paradossi. Bisogna, quindi, capire che “rendere visibile e mantenere nella clandestinità” non sono necessariamente in contraddizione, ma entrambe possono divenire strategie utili alla stessa logica.

Giusy Clausino

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Di Redazione

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