SALERNO – Poter ascoltare il pianista di Yarmouk è davvero una grande fortuna. Abbiamo avuto questo incredibile piacere qualche sera fa presso il teatro Augusteo della città di Salerno, nell’ambito del Festival Linea d’ombra 2017. Al provocatorio hashtag #senzanome lanciato dagli organizzatori del Festival, il giovane artista ha risposto così: “per fare un festival non abbiamo bisogno di temi belli ma di cose belle”. E lui di bellezza ne ha tanta. Ahmad, questo il suo nome, classe ’88, non suona il pianoforte con le mani, suona con tutto se stesso. Ed è con tutto se stesso che racconta la sua storia e quella del popolo siriano.
Nato e cresciuto nel campo profughi di Yarmouk, all’età di cinque anni scopre il suo grande amore per la musica trasmessogli dal padre violinista, suo eroe personale. Inizia i suoi studi a Damasco avendo grandi maestri per dieci lunghi e sereni anni, ma la guerra interrompe la sua vita.

Ci racconta che, a partire dal 2011 circa, le condizioni politiche del suo paese precipitano e diventa pericoloso fare qualsiasi cosa. Così la sua vita sembra “sospendersi bruscamente” ma confessa che dentro di lui “la passione per la musica non si spegnerà mai e anzi, sarà fonte indispensabile per la sua sopravvivenza“.            

Abbiamo aperto questo articolo con un video in cui Ahmad suona il suo pianoforte tra le macerie e la distruzione totale. Dopo quel video Ahmad decide di lasciare la sua terra e la sua famiglia per iniziare il suo viaggio. Ci dice, con un innocente sorriso, che ha attraversato la rotta balcanica, lo dice con il sorriso di chi sa di essere sopravvissuto e di poter raccontare ora la sua storia.  

Continua raccontando della guerra, di quanto sia difficile la vita nel campo profughi di Yarmouk. Mi mostra alcune immagini di amici che si trovano ancora lì, tra quella distruzione ma non solo. Mi mostra foto di una massa umana in fila per beni di prima necessità come pane e acqua. In quel campo manca tutto: elettricità, acqua potabile, un tetto sopra la testa.                    

Ma lui, fino a quando ha potuto, ha cercato di riempire quei vuoti con la musica, trasportando il suo pianoforte tra la gente. La sua musica, in cui le sonorità classiche del suo pianoforte si fondono con canti in lingua araba, ci dice una cosa.  Ci dice che un potere esiste, quello di smuovere gli animi. Ed è quello che succede quando lo si sente suonare.

Attualmente vive nella città di Wiesbaden in Germania, spera che la sua famiglia possa raggiungerlo presto. Nel frattempo gira l’Europa portando ovunque il suo messaggio di speranza, la sua Music for Hope [suo album del febbraio ’17 ndA].

Marta Sampogna

photo credit: Jacopo Naddeo

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Di Marta Sampogna

Nata a Napoli nel ’91, da sempre coltiva l’interesse per tematiche quali immigrazione, periferie e diritti umani. Questa attitudine la spinge ad intraprendere gli studi politologici presso l’università di Napoli L’Orientale per poi approfondirli nell’ateneo bolognese, specializzandosi nel settore della cooperazione internazionale. Allo studio affianca un costante impegno nell’associazionismo entrando in contatto con difficili realtà come minori, razzismo e integrazione. Coltiva autonomamente la passione per la fotografia privilegiando scatti raffiguranti le contraddizioni della sua città.

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