Ci sono interviste che tardi a pubblicare, a buttare giù, perché sembra quasi stiano aspettando il momento giusto per essere pubblicate, come stessero scegliendo il contesto adatto e non accettino di  venir fuori senza.

Per me è stato così con questa intervista, che mai come oggi parla di integrazione, quella vera, quella che non ha bisogno di piani, di algoritmi, ma semplicemente – se semplice lo è davvero – la si fa con pochi passi: un incontro, un saluto e l’ascolto dell’altro per l’altro.

Ho incontrato Tonino Cau, 83 anni di vita da condividere, e Aly Cisse, classe ’49, nella sala dell’associazione per l’integrazione nata a Olbia nel 1996, il Labint, in un pomeriggio freddo, scaldato presto dalla loro storia.

Tonino, di origine nuorese, ex prete e insegnate di musica, dalla vocazione missionaria nel dna, avverte da sempre una predilezione per i poveri, per i meno considerati, per gli esclusi.

Aly Cisse parte dal Senegal per arrivare prima a Roma il 23 febbraio del 1995, per poi spostarsi in Sardegna, a Olbia, anche se il suo primo viaggio era iniziato da lontano, da quando ancora bambino aveva dovuto lasciare i genitori nel suo piccolo villaggio, per continuare la scuola in città, ospitato da uno zio. Tonino che insegnava musica a Poltu Quadu, quartiere non facile in quegli anni per via delle criticità sociali, ricorda il giorno in cui una ragazza affisse il cartello di una pubblicità progresso che ritraeva l’immagine di un lavavetri e di un autista scocciato dalla sua presenza, con la frase: “invece di mandarlo via, invitalo a pranzo”. Una formula breve quanto complessa nella pratica, ma non per Tonino, che ne restò illuminato e non tardò a metterla in pratica, invitando a pranzo Amadou, venditore ambulante conosciuto per strada, che poco tempo dopo gli presentò Aly che intanto era passato da ambulante al mestiere di giardiniere.

Ci incontravamo spesso, era uno scambio, culturale, intereligioso, nonostante le difficoltà per le differenze linguistiche”. Difficoltà che fecero presto comprendere a entrambi della necessità di una scuola specifica per stranieri, con un unico motto “Qualunque cosa faremo, dobbiamo dare il meglio”. Dapprima una fase non ancora istituzionalizzata, quella dal 96′ al 2000, che però da’ ragione a Tonino e Aly a partire dai numeri: 29 gli studenti stranieri nel primo anno, 30 il secondo, accompagnati nel percorso da cinque insegnanti volontari. Una scuola migrante in tutti i sensi, che per la mancanza di fondi deve farsi ospitare da chi offre disponibilità, spesso altri istituti scolastici del territorio o sedi distaccate degli stessi.

Le presenze crescono, si passa da 29 a 90 studenti, a volte con 32 nazionalità differenti, e da 5 a 12 insegnanti. Cambiano anche le presenze tra uomini e donne, queste ultime assenti il primo anno ed ora al pari degli uomini. Il progetto di Tonino e Aly prosegue come la loro amicizia, in uno scambio reciproco che gratifica volontari e insegnanti, tra studenti che restano, alcuni che partono dopo la scuola per ricoprire ruoli di responsabilità nel Nord Italia, ed altri che sono costretti ad abbandonare perché andare a scuola significa non andare a lavorare e quindi non guadagnare.

La scuola cresce come crescono le iniziative del Labint, tra studio e iniziative ludiche come le feste che costituiscono un vero e proprio modello di integrazione, tra fedi che si mescolano attraverso la cucina e determinano l’aggregazione della comunità ed ancora convegni, concerti, così come i momenti in cui non mancano le difficoltà da affrontare e che richiedono nuove soluzioni.

Nel marzo 2006, il Labint stringe una collaborazione con la Asl e grazie all’opera di un medico locale, la dottoressa Francesca Ena, può contare anche sull’assistenza sanitaria per gli stranieri. Sono anni impegnativi in cui le crisi interne non mancano, ma vengono gradualmente superate con l’amicizia che resta la base ferma: “Aly – racconta Tonino –  mi ha trasmesso la capacità di reggere la sofferenza, di trovare la pazienza per sopportarla e per tollerare quell’abitudine al dolore che percepivo in ognuno di loro e mi colpiva tantissimo”. Per Aly, infatti, basta parlare con Tonino per trovare la serenità, una serenità che non aveva mai incontrato, che gli ha insegnato a sopportare le provocazioni, a saper perdonare, a non restare sempre sulla difensiva, quella che ti accompagna da bambino quando devi imparare a difendersi presto, troppo presto.

Aly, oggi diventato mediatore culturale, è il presidente del Labint, ed insieme a Tonino e ai volontari continuano a portare avanti il proprio operato sostenuto dallo stesso pensiero, oggi come allora: “Per insegnare agli immigrati bisogna amarli, volergli bene, solo dopo potrai trasmettere loro davvero”.

Parliamone...

Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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