Anastasia Vasilye

Non lavorate senza mezzi di protezione“. Una frase apparentemente innocua ai tempi dell’emergenza Coronavirus, da considerarsi monito positivo per evitare il contagio, per diminuire la pressione nelle strutture ospedaliere e per prevenire ulteriori decessi.

Anastasia Vasilyeva

Fin qui tutto normale, almeno mantenendo la comunicazione nel contesto italiano, se non fosse che il teatro che fa da sfondo a questo appello è la Russia. A pronunciarla, la dottoressa Anastasia Vasilyeva, a capo di un sindacato di operatori sanitari, che ha osato criticare la risposta del Governo russo all’emergenza Covid-19.

Già convocata il 31 marzo per essere interrogata a seguito dell’appello lanciato tramite You Tube e rivolto a tutti gli infermieri e medici della Russia, il medico non ha interrotto la sua attività di corretta informazione nei confronti degli operatori sanitari e non solo.

Insieme ad alcuni colleghi, la Vasilyeva si è diretta Okulovka, a 400 chilometri da Mosca, per consegnare mascherine e altre attrezzature di sicurezza.

Un gesto che non è stato apprezzato dalla polizia del posto che l’ha fermata e arrestata per “mancato rispetto delle norme di condotta per prevenire e risolvere una situazione d’emergenza”.

E proprio all’interno della stazione di polizia si sarebbe scatenata la violenza: “le hanno stretto le mani al collo e picchiata allo stomaco fino a quando non è svenuta” (come rende noto Amnesty).

La Vasilyeva ha dovuto così trascorrere in cella la notte tra il 2 e il 3 aprile, per poi essere rilasciata con l’accusa di “disubbidienza agli ordini di un agente di polizia“.

Da un lato il Governo che parla di situazione sotto controllo, dall’altra una missione che avrebbe portato circa 500 mascherine, disinfettanti vari, tute, guanti e occhiali protettivi, insieme a un pericoloso messaggio di auto protezione per evitare una rischiosissima sottovalutazione dell’emergenza.

Una campagna di sensibilizzazione costata molto, troppo cara e non certo in termini di risorse economiche.

Elena Mascia

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Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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