Il coordinamento nazionale delle Cliniche Legali, in data 6 aprile, ha lanciato un appello sulla situazione nelle carceri italiane a seguito dell’emergenza Coronavirus, appello sottoscritto anche dall’associazione Antigone.

La sospensione delle attività da oltre un mese e la preoccupazione per la possibilità di diffusione del Covid-19 tra i detenuti, hanno portato il coordinamento a rivolgersi direttamente al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e al Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

L’obiettivo è quello di ottenere un intervento deciso per vedere garantito il diritto alla salute, sia per i detenuti che per il personale che lavora all’interno delle carceri.

La diffusione della notizia dei primi contagi così come dei primi decessi ha confermato le già manifeste preoccupazioni. Nonostante i recenti decreti, le cliniche legali continuano a raccogliere a distanza le ansie e le difficoltà da parte di chi “vive, lavora e opera negli istituti penitenziari“.

In un contesto in cui è praticamente impossibile rispettare le misure di distanziamento sociale e con l’interruzione degli accessi dall’esterno, i contatti telefonici o via internet con i famigliari diventano importantissimi, eppure a tutt’oggi risultano essere difficoltosi: “il sovraffollamento penitenziario ad altissimi livelli, le condizioni igienico-sanitarie spesso scarse, la presenza di un elevato numero di detenuti con patologie pregresse, la carenza di dispositivi di protezione individuale comportano il forte rischio che il Coronavirus si diffonda molto velocemente all’interno degli Istituti penitenziari, con il conseguente pregiudizio del diritto alla salute delle persone detenute e degli operatori del carcere“.

Viene dunque richiesto che il Parlamento “estenda l’ambito di applicazione della misura delle detenzione domiciliare a detenuti con un fine pena più elevato, nonché restringa le limitazioni ad oggi previste alla concessione della misura“.

In una nota di qualche giorno fa, l’associazione Antigone, a seguito del decesso del primo detenuto morto per Covid, aveva già richiesto gli arresti domiciliari per almeno “100.000 detenuti tra quelli che hanno un fine pena breve e coloro che soffrono di patologie o hanno un’età per cui un contagio potrebbe essere fatale“.

Elena Mascia

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Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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