Noi siamo un solo pianeta, una sola umanità. Quali che siano gli ostacoli, e quale che sia la loro apparente enormità, la conoscenza reciproca e la fusione di orizzonti rimangono la via maestra per arrivare alla convivenza pacifica e vantaggiosa per tutti, collaborativa e solidale. Non ci sono alternative praticabili. La ‘crisi migratoria’ ci rivela l’attuale stato del mondo, il destino che abbiamo in comune”. 
Persone in fuga da guerre e catastrofi bussano alle porte dell’occidente, “stranieri” e per questo indesiderati malgrado il grido d’aiuto. Zygmunt Bauman traccia un quadro schietto, crudo, oltremodo vero; a tratti illuminante come lui sa essere ma non di meno ovvio, perché troppo evidente.

Il “panico da migrazione” è stato sapientemente costruito e propinato da telegiornali, quotidiani e discorsi politici, è diventato elemento essenziale di qualsiasi discorso sul bisogno di sicurezza (vero o il più delle volte presunto tale), sulle crisi interne dei paesi che gli stranieri aggraverebbero e su tutte le paure e le incapacità dei governi che hanno trovato un ottimo capro espiatorio su cui riversare tutto ciò.

Per dirla con le parole del grande filosofo russo Batchin, tutti i poteri terreni traggono alimento e forza dalla rielaborazione della «paura cosmica» (innata ed endemica negli esseri umani) in una sua variante costruita e artificiale, la «paura ufficiale».

Inoltre “…uno dei più acuti storici dell’età moderna, Eric Hobsbawm, scriveva che «quando vien meno la società, salta fuori il nazionalismo come estrema garanzia». Hobsbawm ce lo ricorda dalla tomba: «loro», gli «stranieri», «possono, e devono, essere incolpati per tutto il malcontento e il senso d’insicurezza e di disorientamento che tanti di noi avvertono dopo questi quarant’anni, in cui la vita umana ha subito i più repentini e profondi sconvolgimenti che la storia ricordi».

Netta anche la tendenza alla divisione in “noi e loro”, “al di là delle carnevalesche ed effimere esplosioni di solidarietà e cura innescate dalle spettacolari immagini mediatiche delle tragedie che si susseguono nella infinita saga dei migranti”. E ancora: “secondo Michel Agier (oggi forse lo studioso più penetrante e coerente, e di gran lunga più esperto e competente, sulle sorti degli oltre duecento milioni di profughi presenti sul pianeta) la «politica migratoria» punta a «consolidare nel mondo la divisione in due grandi categorie sempre più reificate: da una parte il mondo pulito, sano e visibile; dall’altra un mondo residuale, i cosiddetti ‘altri’, oscuri, malati e invisibili».

La previsione di Agier è che, se le prassi non cambieranno, questa finalità prevarrà su qualsiasi altra intenzione e funzione dichiarata: i campi «non serviranno più alla sopravvivenza dei rifugiati in quanto particolarmente vulnerabili, ma al parcheggio e alla custodia di gruppi indesiderabili di ogni sorta».

La categoria residuale degli «altri» è un fenomeno di dimensione mondiale. Quegli «altri» sono gli esclusi dallo sguardo, dall’attenzione e dalla coscienza di tutti noi che siamo nati e cresciuti negli agi e nelle comodità del mondo e viviamo in una casa anziché sotto una tenda o nella camerata di un campo per profughi e richiedenti asilo.

Gli «altri» popolano «innumerevoli campi, corridoi di transito, isole e piattaforme marine, recinzioni nel bel mezzo dei deserti»; ogni campo «è circondato da muri, filo spinato e recinti elettrificati, o semplicemente imprigionato dalla dissuasiva presenza del vuoto che ha attorno».

E anche quando gli «altri» riescono ad accedere al nostro mondo, «le entrate e le uscite passano per stretti corridoi, sono filtrate da telecamere, lettori di impronte digitali, rilevatori di armi, virus, batteri, pensieri e ricordi».

Di tanto in tanto la loro presenza, la loro esistenza, per il fatto che bussano alle “nostre” porte, si manifesta in tutta la sua durezza, ma non avviene mai una reale e concreta presa di coscienza, tanto meno nascono o vengono sostenute azioni che possano anche in minima parte cambiare lo stato delle cose.

Infine pone l’interrogativo sulle “radici dell’odio: antropologiche o legate al nostro tempo?”, in soccorso giungono: Kant e la sua morale, Gadamer e il suo modello del comprendere contenuto in “Verità e metodo”.

Il dialogo come unica via percorribile: “la prova della conversazione come via maestra al reciproco comprendersi, rispettarsi e accordarsi (magari solo «accordarsi di non essere d’accordo») sta nell’iniziare la conversazione e condurla in una prospettiva volta a superare insieme gli ostacoli che si presenteranno nel suo corso. Quali che siano quegli ostacoli, e quale che sia la loro apparente enormità, la conversazione rimane la via maestra per arrivare all’accordo, e dunque alla convivenza pacifica e reciprocamente vantaggiosa, collaborativa e solidale: e ciò semplicemente perché la conversazione non ha rivali, ne alternative praticabili”.

Leggiamo attentamente, e teniamo bene a mente, il monito di Appiah: «il modello su cui tornerò [nello studio dell’imminente cosmopolitizzazione della coabitazione umana sulla Terra] è quello della conversazione, e in particolare quella tra persone abituate a vivere in maniera molto diversa tra loro. Il mondo sta diventando sempre più affollato: nei prossimi cinquant’anni la popolazione della nostra specie – eravamo cacciatori-raccoglitori – si avvicinerà ai nove miliardi di individui. Il dialogo tra persone di paesi diversi può essere piacevole o carico di tensione, a seconda delle circostanze: ma è comunque inevitabile».

C’è ben poco da aggiungere a quanto Bauman ci lascia, semmai l’invito a leggerlo con coscienza perché in grado d’illuminare una via troppo buia, per questo andrebbe letto da chi governa, dovrebbe essere un testo di studio di cui i luoghi di potere dovrebbero dotarsi per tentare di correggere la grave miopia dilagante di chi occupa quegli scranni.

Antonino Alfò

SCHEDA BIBLIOGRAFICA
TitoloStranieri alle porte
103 p. ; 21 cm
ISBN…  9788858125328
Collana… I Robinson. Letture
AutoreBauman, Zygmunt
Traduttore… Cupellaro, Marco
Titolo originale dell’opera… Strangers at our door
Luogo pubblicazione… Roma-Bari
Editori… GLF editori Laterza
Anno pubblicazione… 2016

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Di Antonino Alfò

Siciliano, 35 anni, nato ad Avola (Sr). Penso che il silenzio possa sembrare complicità ed è per questo che bisogna far sentire la voce. Sono un educatore professionale, da circa 6 anni lavoro con i minori stranieri non accompagnati, fra Marsala e attualmente Agrigento, credo che l’incontro con l’altro sia sempre un’opportunità di scoperta e crescita, preferisco le porte e i ponti rispetto ai muri, spero che grazie a informazione, curiosità ed empatia si possano sconfiggere paure, anacronismi e barriere. Libri, musica e buon cibo riescono a rendermi felice senza dimenticare ovviamente le ottime persone e i bei sorrisi.

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