Care compagne di viaggio e cari compagni di viaggio,
L’estate è entrata nel vivo. Fa caldo, le città si svuotano, i notiziari mainstream diventano documentari su angurie e code in autostrada.
E il BelPaese, come ogni anno, mette in pausa anche il pensiero critico.
Perché c’è una frase, signore e signori, che da giugno a settembre rimbomba ovunque più di una hit di Orietta Berti remixata: “Ne parliamo a settembre.”
Proponi un’idea? “Ne parliamo a settembre.”
Sollevi un problema sul lavoro? “Ne parliamo a settembre.”
Ti indigni per un diritto negato? “Ne parliamo a settembre.”
Provi a discutere di guerra, crisi climatica, migrazioni, Costituzione? “Amico caro… ne parliamo a settembre.”
E mentre il Mediterraneo brucia, Gaza esplode, Kiev sanguina e i governi firmano accordi che nessuno leggerà, noi ci spalmiamo la protezione 50 sulle coscienze.
Viviamo come se l’agenda del mondo fosse sincronizzata col calendario balneare.
Come se la geopolitica avesse preso una stanza in Versilia, con vista mare e pensione completa. Come se “sì c’è il riscaldamento globale ma entri in acqua e ti rinfreschi”.
È il grande incantesimo dell’estate: il mondo può pure cadere a pezzi, ma se c’è il mare, va tutto bene. Ne parliamo a settembre.
Anche noi subiamo il fascino del mojito e dell’ombrellone, eh.
Ma mentre il cervello collettivo fa il bagno, noi restiamo qui, a sorvegliare la realtà con le pinne, gli occhialini e il fucile… carico solo di ironia.
Perché se non ne parliamo adesso, quando tutti sono più distratti, poi a settembre ci diranno che è troppo tardi. Che i giochi sono fatti. Che “potevate dirlo prima?”.
Allora no. Non aspettiamo settembre.
Parliamone adesso.
Di giustizia, di pace, di clima, di migranti, di lavoro, di guerra e di speranza.
Parliamone tra un bagno e l’altro. Sotto l’ombrellone. Alla fermata dell’autobus. Al bar con la cedrata e l’acqua tonica.
Perché l’estate passa, ma le ingiustizie restano. E il silenzio, d’estate, fa comodo solo a chi comanda.