Care Compagne di viaggio e cari compagni di viaggio,
Avete notato anche voi questo strano fenomeno?
Le piazze si riempiono di gente per Gaza, in difesa della pace, per gridare “stop al genocidio”… e poi, quando arrivano le elezioni, davanti alle urne c’è il deserto.
Una manifestazione oceanica in settimana, e un’astensione record la domenica.
È la magia della democrazia all’italiana: piazze piene, urne vuote.
Se ci fosse un campionato europeo dell’astensionismo, l’Italia sarebbe testa di serie.
No, non critico il popolo delle piazze al quale anche io appartengo, anzi, ben vengano le mobilitazioni, le bandiere, le voci, i cori.
Ma la mia domanda è: come si fa a trasformare quest’energia collettiva in potere politico?
Perché se la protesta non entra nelle istituzioni, resta fotografia di un pomeriggio, memoria di uno slogan, eco che si spegne.
E mentre i governi continuano a vendere armi e a parlare di “diritto a difendersi…non si sa bene da chi”, noi ci ritroviamo con migliaia di persone indignate che preferiscono alzare un cartello piuttosto che una matita per fare un segno sulla scheda elettorale.
E il risultato è che decidono sempre gli altri: i pavidi, gli indifferenti, i rassegnati, o peggio ancora, i guerrafondai in giacca e cravatta.
Il paradosso è tutto qui: gridiamo “pace!” nelle piazze, ma poi lasciamo che siano gli amici delle lobby delle armi a scrivere le leggi.
È un po’ come andare a un concerto, cantare a squarciagola tutto il tempo, e poi andare via prima del bis.
Se davvero vogliamo cambiare le cose, non basta indignarsi, bisogna votare. Portare nelle urne la stessa passione, la stessa rabbia, la stessa speranza che vediamo nei cortei. Perché la scheda elettorale non è una bacchetta magica, ma è ancora l’unico strumento che abbiamo per tradurre le piazze in politiche, i sogni in diritti, i no alla guerra in sì alla pace.
E allora sì, continuiamo a riempire le piazze, ma ricordiamoci di riempire anche le urne. Perché la vera rivoluzione pacifista è questa: far contare la voce di chi non vuole le bombe, di chi non vuole i muri, di chi crede che un altro mondo sia possibile.
In buona sostanza meno astensionismo, più partecipazione
Altrimenti, rischiamo di essere pacifisti solo a metà: rumorosi nelle strade, silenziosi nelle cabine elettorali.
E il silenzio, lo sappiamo, fa sempre comodo ai potenti.