Daniele Fontana www.whitenoisephotography.com; www.danielefontana.com

Fase 2, ripartenza, #andràtuttobene. La vita che riprende il suo ritmo, le pubblicità che cambiano e si adattano al contesto da “un piede dentro e uno fuori” dall’emergenza e poi le parole, parole che cercano di spiegare, di descrivere, di delineare stati d’animo e pensieri. Parole, ma anche musica. Quanta ne abbiamo ascoltata in questa quarantena, quante produzioni sono nate in reclusione forzata, proprio come per Dr. Boost alias Sebastiano Piras, cantante sardo del panorama reggae-dub all’attivo dal 99’; fotografo del reale per rubare una sua espressione, che in questi anni può aver cambiato collaborazioni e scenari, ma non ha mai smesso di scrivere e cantare dei problemi sociali, delle angherie della sua Terra e dell’opposizione contro un sistema che fagocita, ma da cui si può restare svegli.

Partiamo parlando di un video in cui tute e mascherine le avete indossate in tempi non sospetti…

Il video di “Low Dem Down” è stato pensato a novembre 2019 e non c’era sentore di ciò che sarebbe accaduto dopo. Le tute le usammo anche in un video precedente con Forelock, ma per questo pensai anche a delle mascherine con disegnato un sorriso incattivito da mostrare a “ipocriti e parassiti”, come diciamo nel pezzo. Il caso ha voluto che qualche mese dopo ci siamo ritrovati tutti a usarle nel quotidiano.

Durante la quarantena, in un tuo lavoro insieme alla Green Grass music film, ti fai una domanda: “Mi chiedo chi saremo bro, quando sarà finita”. Pre e post quarantena che idea ti sei fatto su questo cambio di “umanità”?

Ho letto e sentito mille volte la frase “Ne usciremo migliori di prima”, ma non l’ho mai creduto, anzi, ho sempre pensato il contrario. Se metti degli animali in gabbia, anche per le motivazioni più giuste (se esistono), come puoi pensare che non ne escano incattiviti? Anche casa nostra può essere una gabbia se siamo costretti a starci h24 per mesi. Ne abbiamo avuto già due evidenti prove sui social: La prima con la liberazione di Silvia Romano, dove una massa di frustrati, rimbecilliti ancora di più dalla clausura, ha trovato una valvola di sfogo per il proprio odio. La seconda con la questione della regolarizzazione dei migranti che lavorano nei campi, dove altrettanto odio si è scagliato non contro un sistema di sfruttamento selvaggio, ma contro il fatto che in qualche modo ci sia bisogno di porvi un freno. L’assurdo.

Di recente è stata appunto liberata Silvia Romano, che tu citasti in un video che vede la tua collaborazione: “Sto con Silvia”, parole che hai riconfermato dopo la sua liberazione, al contrario di molti che si sono scagliati con una violenza inaspettata. Da dove è partito tanto accanimento secondo te?

Stimo molto chi decide di partire per dedicarsi al prossimo in luoghi difficili, realtà complesse, che di sicuro cambiano anche la persona che li vive. Per questo in “Peaceful Warrior” citai Silvia Romano, come anche Vittorio Arrigoni e Orso. Come ho detto prima, i mesi di clausura hanno sicuramente contribuito a incattivire una parte della società, ma nel caso di Silvia Romano c’è ovviamente dell’altro. Abbiamo dei politici che fomentano odio quotidianamente contro ONG e contro chiunque si dedichi agli altri al di là di ogni confine. Per i seguaci di questi squallidi personaggi ogni occasione è buona per organizzarsi, spargere fake news, attaccare in massa, minacciare di morte, offendere utilizzando spesso anche il sessismo come un coltello. Perché poi ovviamente questo accade soprattutto quando si tratta di donne forti, coraggiose e indipendenti. Cose ancora inaccettabili per una fetta importante della nostra società. Spesso però tutto può nascere anche dalla semplice frustrazione di vedere persone felici per ciò che fanno. Persone migliori di loro insomma. L’ignoranza in Italia è tanta e quando non si investe in cultura poi questi sono i risultati.

In un’intervista hai affermato di preferire i viaggi mentali a quelli fisici. Un vantaggio considerata la situazione attuale. Cosa ti è mancato davvero in questi mesi, se ti è mancato qualcosa…

Preferisco i viaggi mentali a quelli fisici semplicemente perché, da quel punto di vista, sono abbastanza pigro. Questo non vuol dire che se ho voglia di partire non lo faccia. Vuol dire solo che devo trovare il momento giusto e una giusta motivazione. Non mi piacciono i controlli in aeroporto, non mi piace l’idea di stare 10 ore su un aereo, non mi piacciono le attese. Ho aperto un B&B ad Olbia perché è più facile aprire casa mia a persone di tutto mondo rispetto a trovare il momento per andare io a casa loro. In qualsiasi caso amo sempre il confronto con altri popoli e culture. Ho anche viaggiato abbastanza in Europa, ma sempre per suonare. Invece non sono mai riuscito a concepire il viaggio per vacanza. Alla figura del turista ho sempre preferito quella del viaggiatore senza meta, anche se comprendo possa essere un concetto forse un po’ troppo romantico al giorno d’oggi. Hai notato come sono i turisti che vengono in Sardegna? Sono spesso nervosi, super organizzati, stressati. E quando vanno via sono peggio di prima. Assurdo. Cosa mi è mancato nei mesi della clausura? La libertà di fare ciò che mi pare, la socialità, lo scambio di idee e sguardi con le persone con cui normalmente organizzo i miei lavori. Devo però dire che dall’altra parte nelle situazioni difficili saltano fuori energie sconosciute e nel mio caso sono emerse scrivendo e facendo uscire 3 pezzi nuovi, inclusi di video, in 3 settimane. Dall’inizio della scrittura all’uscita della canzone con il video passavano in media appena 36 ore.

La musica quanto ha perso come mezzo di comunicazione del sociale?

Nell’immediato questa situazione di clausura ha generato nuove forze e nuove idee, tutte messe in rete, ed è stata una gran cosa. Alla lunga però perdiamo tutti parecchio. Io faccio reggae, dancehall, e quando mi muovo con il dj set live sono quasi sempre senza palco proprio perché ha parecchia importanza avere un contatto ravvicinato ed eliminare ogni barriera, o livello, con chi sta lì ad ascoltare e ballare. Va da se che in questa situazione non è possibile organizzare nulla che possa produrre neanche alla lontana quel tipo di situazione. Non credo di fare alcun live finché le cose non cambieranno davvero. Se poi vogliamo parlarne in generale… Oggi fare musica impegnata è ritenuta cosa vecchia, superata. Molti giovani fanno musica per cercare di svoltare qualche soldo. Per me è sempre stata prima di tutto un’arma che mi ha permesso di portare le miei idee e le mie emozioni nelle orecchie delle persone.

Parlaci della Festa del “non lavoro”

Quando nasci, cresci e vivi in Sardegna, da ragazzino pensi al Concertone del primo maggio di piazza San Giovanni come la cosa più figa e alternativa del mondo. In effetti molti dei gruppi che nei ’90 hanno dato nuova linfa vitale alla musica italiana hanno calcato quel palco. Mi vengono in mente gli Almamegretta e Lou X per esempio. Quindi nel mio primo anno romano andai in piazza per quella festa organizzata dai sindacati che proponeva anche della gran bella musica. In realtà però a Roma esisteva anche un’altra realtà, fuori dalle logiche e visioni dei sindacati, della politica parlamentare, delle istituzioni in genere. I centri sociali e tanti piccoli movimenti politici spontanei lavoravano e si sbattevano quotidianamente per un’idea differente di mondo e del vivere la socialità. La “Festa del non lavoro” era ed è la festa del 1 maggio del Forte Prenestino che, tra l’altro, lo stesso giorno festeggia l’anniversario dell’occupazione. Potremmo stare ore a parlare su quello che erano i centri sociali e quel modo di concepire la vita, lo studio, il lavoro, la politica in quegli anni. A me cambiarono la vita e mi fecero crescere e diventare migliore. Per chi vuole sapere qualcosa in più sul Forte e sulla festa del non lavoro consiglio di visitare direttamente il sito www.forteprenestino.net.

Una definizione per Alghero, una per Olbia e una per la Sardegna

Alghero è il posto dove sono nato, dove ho tutti i parenti e dove non ho mai vissuto davvero. I miei si trasferirono ad Olbia prima che nascessi io, per questo mi sento olbiese. Alghero me la sento in qualche modo addosso, è il sangue. Olbia è casa. La Sardegna è la madre di tutti noi.

In un’intervista sei stato definito un “guerriero sardo”, ti ritrovi in questa definizione?

Sardinian Warriors” fu il mio primo vero album da solista, era il 2008. Per me guerriero è chi in qualche modo riesce a vivere uscendo dalla logica apatica della sopravvivenza. Non parlo di soldi o ricchezza, ovviamente. Parlo di stati d’animo, di obiettivi, di visione della vita. Tanti della mia generazione sono cresciuti senza vere e proprie radici e questo è un aspetto che viene spesso sottovalutato. Quando nasci senza radici nasci senza fondamenta e per reggerti ti devi reinventare. Da un certo punto di vista può essere anche un vantaggio eh…, ma non è mai facile. Olbia ad esempio è questo: dagli anni ’60 in poi ha cambiato faccia diventando un luogo nel quale arrivavano persone da tutta la Sardegna e da tutta Italia per lavorare in un qualche settore collegato in qualche modo alla Costa Smeralda e allo sviluppo turistico. Tanti hanno trovato lavoro e uno stipendio fisso. Dietro di loro hanno lasciato una storia per farne nascere una nuova. Questo tipo di passaggio però non è mai indolore. Lascia sempre qualche strascico nelle generazioni immediatamente successive, che crescono senza precisi punti di riferimento educativi e storico-culturali.

Generi e contaminazioni musicali di Dr. Boost oggi

Booo. Non saprei cosa risponderti esattamente. Ascolto tante cose diverse ma non ascolto di tutto. Per ciò che riguarda la musica reggae e dancehall cerco sempre nuove uscite dalla Jamaica, ma anche dall’Europa. Per il resto sto anche attento ad alcuni nuovi fenomeni musicali, ma sempre con un certo distacco. Il reggae, in tutte le sue varianti, è ciò che ancora oggi mi emoziona e mi fa vibrare di più.

Ti influenza sapere che la soglia di attenzione dell’utente medio che guarda video abitualmente si concentra in pochi secondi o vai oltre?

Per un certo periodo di tempo me ne sono fregato e andavo dritto come se nulla fosse. Da qualche tempo, dopo che ci ho riflettuto un po’ su, ho pensato che se a primo impatto questa cosa appare, e in un certo senso è triste, dall’altra parte dà l’opportunità all’artista di far vedere ciò che vale in quei pochi secondi. Anche i social si sino adeguati e sono stati loro stessi parte attiva di questa cosa. Su Tik Tok un video è mediamente di 15 secondi. Stessa cosa le storie Instagram. In genere, al massimo, non si supera mai il minuto. Durante la quarantena ho sperimentato la figata di fare tutte cose di circa un minuto: una sola strofa scritta, registrata e via. A volte per finire una canzone ci vogliono mesi. Una sola strofa rende tutto più veloce e snello. Credo che se uno ci sa fare, riesce anche tranquillamente a fare un’opera d’arte in pochi secondi. Poi stiamo parlando di questi tempi, magari le cose in futuro saranno diverse.

Fenomeno trap. Destinato a durare o a passare?

Non sono esperto di Trap. Conosco qualche ragazzino interessante in mezzo a tante cose che non mi interessano affatto. Inizialmente criticavo di più l’approccio alla musica di questi personaggi. Oggi mi rendo conto di essere stato in parte superficiale e non aver guardato a fondo. Parliamo di una generazione completamente diversa dalla mia. Una generazione che non vede e crede più in niente, che pensa che nessuna battaglia collettiva abbia più senso. Contano i legami strettamente vicini e l’unica via d’uscita è il successo egoistico personale. Loro non sono, fanno. Sembra ci vogliano dire che questo mondo non ha più speranza. La loro filosofia sembra essere un po’ questa. Che si sia d’accordo o meno, come non capirli? Penso comunque che dal punto di vista delle produzioni musicali in ambito trap escano delle cose davvero fighe. Non so quanto durerà in Italia, ma esiste da parecchio e credo che ormai abbia segnato in parte questi tempi.

Il Festival che stai aspettando

Non aspetto un Festival, aspetto le feste nei paesi. Mi mancano quelle.

Con chi ti piacerebbe collaborare in una prossima produzione

In genere preferisco lavorare con chi stimo e conosco personalmente. Con il progetto TDE, dove oltre alla voce mi dedico molto anche al basso, mi piacerebbe coinvolgere qualche nome jamaicano in futuro. È un po’ che ci pensiamo, ma preferisco non fare nomi.

Lingua sarda e sonorità linguistiche, quando e come si incontrano nella tua musica?

Ci sono alcuni pilastri della musica sarda che mi hanno segnato profondamente e che hanno influenzato una parte del mio modo di fare musica, soprattutto all’inizio. Andavo matto per l’energia, la forza e l’impatto emotivo che i Kenze Neke riuscivano a trasmettere dal palco. Nessun altro come loro ha saputo mischiare punk, reggae, metal, tradizione e lingua sarda riuscendo a far emergere con grande successo qualcosa di completamente nuovo per l’isola in quegli anni. Feci 2 tour con loro. Io e King Kietu aprivamo i loro concerti e fu un’esperienza formativa importante. Come già detto in precedenza Olbia è l’incontro di mille culture e con il sardo ho cercato di elaborare una sintesi. Nei miei testi, oltre lo slang e l’utilizzo di termini del patois jamaicano, quando scrivo in sardo trovi termini olbiesi, logudoresi, baroniesi, cagliaritani, galluresi. Se mi piace significato e suono di un termine, lo utilizzo senza farmi problemi. Questa cosa è spesso vista male dagli integralisti della lingua, che la additano come superficiale e non rispettosa delle differenze tra paesi. Ma tale concezione non mi riguarda. Se si fanno degli studi storici su lingua, proverbi, modi di dire, è giusto collocare ogni cosa al proprio posto. Ma io fotografo il reale e reinvento. La mia musica arriva dalla strada, dai cantieri, dai bar della mia città, e quelle che per alcuni sono bestialità linguistiche per me sono ricchezza. Olbia è anche questo.

Progetti appena ripresa la normalità, quella vera?

Normalmente faccio progetti quando riesco ad elaborare un inizio e ipotizzare una fine. Ora tutto è incerto. Quest’estate mi sarei dovuto occupare della direzione artistica di due festival e avere in mano la direzione di un settore di un altro festival. Ovviamente tutto è saltato, purtroppo. Sto seriamente pensando di sganciarmi un attimo dalla musica cantata fino a quando non avrò la certezza di poter fare dei live come è stato fino a qualche mese fa. Se ci penso, non ho voglia di passare un anno o più a scrivere, registrare e pubblicare su YouTube cose che non si sa quando potrò fare live. Magari per ora mi dedicherò di più a leggere e studiare e metterò un po’ da parte le registrazioni. Ma sinceramente non so… capace cambi tutto da qui a qualche mese.

Elena Mascia

(BIOGRAFIA) – Attivo dal 1999 quando insieme al Dub Producer King Kietu fonda il progetto “Tostoine” improntato su una miscela di Dub e musica tradizionale sarda. Nel 2000 esce il primo lavoro dei Tostoine intitolato “Dub in Bidda” a cui seguono numerosi live-set in giro per tutta la Sardegna tra cui l‘apertura di tutti i concerti isolani dei Kenze Neke. Nel 2002 esce l’album intitolato “tostoine” . Rispetto al primo lavoro qua la ricerca della tradizione è meno presente e viene invece dato più spazio agli elementi digitali e alla ricerca interiore per quanto riguarda i testi. Seguono concerti un po’ in tutta Italia e un tour in Svizzera. Nel 2004 esce “Agropastorale”, un cd-promo di stampo prevalentemente roots-dub che da una parte ridà linfa vitale ai due ma dall’altra decreta la fine del progetto Tostoine. Dalla fine del 2004 Dr.Boost si dedica al reggae da solista e nel 2005 esce il primo singolo. La Big Tune s’intitola “GANJA NO-STRANA” ed esce in vinile per l’etichetta olbiese Big Island Family. G.N.S. è il primo prodotto reggae sardo su 7 pollici e riscuote grande successo in ambito italiano e internazionale . Nel 2006 esce il primo cd di Dr. Boost intitolato “LA MIA FAMIGLIA” un lavoro interamente realizzato su ritmi jamaicani ed europei con testi in sardo e in italiano. In L.M.F. i testi sono dedicati alla passione e l’amore per la cultura e la terra sarda. Ne vengono denunciati lo sfruttamento selvaggio e la distruzione dell’ambiente naturale.. L’estate 2006 viene invitato a partecipare al ROTOTOM SUNSPLASH al fianco del selecta e dj radiofonico PIERTOSI nell’area dancehall. Nell’autunno del 2006 Dr.Boost inizia un tour italiano che lo vede toccare città importanti come Milano, Bologna, Modena, Lecce, Cagliari, Torino, Pisa e altre… . Nel marzo del 2007 un importante data in Olanda insieme al Big Island Sound, Herb-a-Lize it Sound e Ziggi. L’estate 2007 viene nuovamente invitato al ROTOTOM SUNSPLASH, questa volta nel MAIN STAGE, dove chiude la serata che contava la presenza Di alcuni tra i più importanti esponenti del reggae internazionale come PERFECT, FANTAN MOJAH ed ANTHONY B. A Dicembre 2007 esce un nuovo riddim profotto dalla BIF intitolato SA GANA RIDDIM, suonato dalla band sassarese TRAIN TO ROOTS con la presenza dei cantanti ROOTSMAN I, SHAKAROOT e appunto DR.BOOST. Questo è il primo singolo di un nuovo lavoro discografico uscito a gennaio 2009. Il nuovo lavoro è tutto su ritmi originali di KING KIETU, vede la partecipazione di cantanti e musicisti sardi come ShakaRoot, RootsMan I, Gesuino Deiana (Cordas et Cannas), Tenore Santu Predu di Nuoro ed è interamente prodotto e distribuito dalla Big Island Family. Dal 2009 al 2013 seguono una serie di lunghi tour e live sparsi per l’Italia e in particolare nel 2012 un tour di 7 date in UK accompagnato dal sound Bass Conquerors. Diversi i singoli usciti in freedownload per negli ultimi 4 anni come “Artzia sa manu” Prodotta da Cuba rec/Unity Culture e “S’Imbriagone” in feat. con Momak (Menhir) uscita a Gennaio 2013 sotto etichetta Ikno Sound. Nel Luglio 2014, sotto etichetta BANDHULERI PRODUCTIONS / SARDINIA REGGAE, è uscito il nuovo album intitolato “B-POWA”. A giugno 2015 DrB ha ricevuto il premio “Archivio Mario Cervo” come “Miglior Album 2015” prodotto in Sardegna. Dr Boost oltre che autore dei testi e delle liriche si rivela artista a 360° diventando anche produttore delle sue musiche. Nel 2017 King Kietu e Dr Boost si rimettono in gioco nel progetto Tostoine Dub Evolution, con il primo lavoro “18- in dub”. Un video documento registrato dal vivo all’archivio Mario Cervo ( Olbia) in cui si racchiudono le loro migliori produzioni ( totalmente rivisitate) nell’arco degli ultimi 18 anni( 1999-2017).

Parliamone...

Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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