Qualcuno lo ha definito come una seduta dallo psicoanalista. Da psicoterapeuta, se dovessi pensare al documentario “Ferro” come ad una seduta di un paziente, mi piacerebbe immaginarla come l’ultima, quella in cui paziente e terapeuta nel congedarsi ritessono le fila di un lungo percorso di ricerca di senso, ripercorrendone le tappe più dolorose e quelle più trasformative, soffermandosi sulle rivelazioni che ne sono derivate ma anche lì dove talvolta un senso non c’è o non si è riusciti a trovarlo.

«La verità mi ha sempre curato»: è in questa frase il senso più profondo del lavoro di sintesi che Tiziano Ferro fa dei suoi primi quarant’anni; la verità come processo di guarigione, come percorso di ricerca di senso appunto. E, proprio come accade nella stanza di terapia, qualche volta, la verità ha necessità di essere raccontata ad altri, ad alta voce, affinché possa generare consapevolezza e cura di sé.

Il risultato che ne viene fuori è un film pregno di autenticità ed armonia. Armonia, nella mitologia greca, è figlia degli opposti: la violenza della guerra, Ares, e la bellezza e l’amore, Afrodite. Opposti che Tiziano Ferro racconta molto bene in un viaggio intimo e toccante dentro di sé: il bullismo subìto da adolescente, il rapporto con il suo corpo, la musica salvifica, la morsa del successo, l’omosessualità negata, l’alcolismo, il coming out liberatorio, l’amore, la rinascita.

È dalla capacità e dalla consapevolezza di riuscire a tenere dentro di sé tutti questi pezzi non come schegge taglienti ma come incastri di un puzzle, che traspare una sensazione di pace che pervade il racconto. Armonia, appunto; proprio come nella musica: ogni parola parlata sembra, invece, cantata. C’è concordanza tra la voce, le immagini, le emozioni: tutto risulta autentico, vero e, quindi, bello. Non c’è posa né apparenza, c’è coraggio, invece, ed essenza.

È un viaggio attraverso le cicatrici, definite da Ferro «il filtro attraverso cui guardare il mondo». Cicatrici che, però, sembrano rimandare anche alle “ferite/feritoie” di Aldo Carotenuto: quei varchi attraverso cui riuscire a scrutare la psiche propria ed altrui. Forse proprio lo strumento di cui Tiziano Ferro può disporre nel suo impegno con i gruppi di auto-mutuo degli Alcolisti Anonimi; lo strumento di cui si avvale un terapeuta, il “guaritore ferito” come lo ha definito Carotenuto; lo strumento che il paziente impara a fare proprio durante la terapia e che poi, di lì in avanti, porterà con sé come la più preziosa delle eredità.

Insieme alla consapevolezza che la fine di una terapia non coincide con la fine della sofferenza ma con l’armonia appunto: con la capacità di riuscire a tenere dentro di sé, insieme, la guerra e la bellezza. Perché «Certe guerre te le porti dietro: a volte, ci convivi, a volte riesci a farci pace».

Alessandra Anna Cineglosso
Psicologa – Psicoterapeuta

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Di Redazione

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