Nel Sud Italia migliaia di immigrati continuano a lavorare nei campi agricoli a 3 euro l’ora per almeno 8 o 12 ore al giorno, controllati da “caporali”, dice una ricerca commissionata dalla fondazione del finanziere George Soros.

Nei mesi scorsi, la diffusione di un reportage di una rivista britannica sulle drammatiche condizioni di vita e di lavoro di immigrati impiegati in Calabria nella raccolta delle arance aveva coinciso con la decisione di Coca-Cola – poi revocata – di cambiare fornitore per il succo d’arancia concentrato per le proprie bevande.

L’indagine “Immigrazione e diritti violati“, realizzata tra il 2011 e quest’anno da un gruppo di ricercatori sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in alcune zone rurali del Mezzogiorno, ha registrato “una sistematica violazione di diritti umani e sociali a partire da quello alla salute, soprattutto per le condizioni debilitanti del lavoro, spesso accompagnate da sottonutrizione e da degradanti condizioni socio-sanitarie degli insediamenti“, dice il rapporto di sintesi.

La situazione di sfruttamento imposta agli immigrati – che del resto sono necessari “per il funzionamento dell’economia agricola delle zone studiate” – accomuna sostanzialmente tutto il Sud. “È  come se ci fosse una forma di contratto collettivo meridionale unico del lavoro gravemente sfruttato, con modeste variazioni locali“, dice lo studio.

Secondo la ricerca, presentata dalla Commissione diritti umani di Palazzo Madama e dalla Open Society Foundations di Soros, e realizzata in Puglia, Campania e Calabria, “la situazione di crisi attuale ha fatto precipitare in basso la condizione di molti lavoratori, sia di quelli già impiegati in agricoltura e nel Mezzogiorno, sia di quelli arrivati più di recente per effetto della crisi“.

La crisi, appunto, ha provocato “un progressivo abbassamento delle aspettative che ha spinto gli immigrati ad accettare qualunque condizione di lavoro e quasi a vedere e percepire qualunque misera occasione lavorativa come una sorta di colpo di fortuna“.

Da anni, dice il rapporto, la paga media che i lavoratori immigrati ricevono, almeno nel periodo del raccolto, si attesta sui 3 euro all’ora o comunque “tra poco più di venti a venticinque euro netti per le giornate effettivamente svolte“.

Si tratta di una retribuzione “pari o inferiore alla soglia di povertà o comunque del 40% inferiore a quella di un lavoratore italiano impiegato nelle stesse mansioni“.

Il versamento della retribuzione avviene peraltro “pressoché esclusivamente tramite il caporale con forme di taglieggiamento più o meno gravi, più o meno prepotenti e crudeli“, dice il rapporto.

Ma l’accento sulla sola figura del caporale come criminale, avverte il rapporto nelle conclusioni “sposta il centro dell’attenzione lontano dai rapporti di produzione e di potere e soprattutto da chi beneficia di quel sistema anche per protezione istituzionale“.

È  il meccanismo complessivo di sfruttamento del quale il caporalato è il nucleo centrale ma non il fattore esclusivo – all’origine delle violazioni dei diritti che abbiamo osservato e documentato“.

Fonte:ReutersItalia

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Di Redazione

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