Tre anni. Tre anni di lavoro giornalistico, tre anni di raccolta delle informazioni, tre anni di ricerca e di consultazione delle fonti, tre anni di vita. Comincia così la storia di Barbara Giangravè, giornalista e autrice palermitana – classe 1982 – che predilige la penna sin da bambina, quando aspetta il giorno del tema per fare ciò che più ama e che poi diventerà il suo mestiere. Un sogno, la sua lenta costruzione e poi la decisione ponderata, considerata la precarietà che caratterizza la vita degli scrittori e delle scrittrici esordienti, di dedicarsi alla stesura di un libro, frutto del lavoro lungo tre anni di inchiesta: è così che vede la luce “Inerti”, edito da Autodafé e vincitore del Premio Augusta. La preoccupazione di affrontare le trasferte promozionali del libro, ma la tranquillità di essere la vincitrice del premio Augusta e di avere diritto a una somma pari a diecimila euro così come previsto dal regolamento.

Siamo nel novembre del 2017, e Barbara aspetta il ritiro della somma a lei destinata per il suo libro, che tratta l’argomento dell’illecito ambientale in Sicilia, nello specifico il traffico dei rifiuti. Per raccontarlo al meglio e in sicurezza, ha scelto di dare alla sua inchiesta, la forma romanzata. Barbara aspetta e aspetta ancora, prima qualche mese, poi un anno, poi due, e il prossimo novembre, la sua attesa di essere premiata con il giusto riconoscimento dal premio letterario Augusta compirà tre anni. La sua storia è stata denunciata dal Post, da Tpi, La Stampa, L’Espresso, e non solo, ma Barbara Giangravè non si ferma e chiede giustizia, per sé e tutti gli scrittori e le scrittrici esordienti, troppo spesso vittime del tritacarne, creato ad hoc da spavalde case editrici, che li vede soccombere.

I FATTI – Nel 2017 l’annuncio alla stampa: “Tutto pronto per il premio letterario Augusta” con rimando alla giornata dell’undici novembre, a Pistoia, per la serata finale e svelare i vincitori. Un premio che“nasce dalla volontà di dare visibilità agli scrittori emergenti italiani che faticano a trovare il giusto sostegno economico nell’attuale filiera del libro”, come si legge nel comunicato Nanopress di allora: “Come spiegano gli ideatori, il Premio Augusta vuole scommettere sui talenti del presente che è già futuro, con premi veri, reali: al primo classificato andranno 10mila euro, mille invece al secondo e terzo”. Già, premi veri, reali, che fanno intendere la concretezza dell’operato dell’Associazione Multiculturale Augusta, che inizia il suo percorso all’interno del Salone del Libro di Torino e prosegue – o meglio – sarebbe dovuto proseguire – insieme alla Capitale della Cultura. L’idea del premio letterario è dunque quella di sostenere i talenti esordienti, concetto che, nel 2016, chiarisce in maniera ancora più incisiva, Gianluigi Recuperati, responsabile di gestire la parte letteraria: “Perché non dare realmente, al vincitore di un premio letterario, la possibilità di dedicarsi alla propria arte senza troppe preoccupazioni di arrivare a fine mese con le notorie, quasi in tutti i casi scarse, risorse di uno scrittore alle prime armi? Ecco quindi l’idea del Premio Augusta, che con la consistenza di 10.000 euro, certo non risolve tutte le asperità della vita di un giovane autore, ma quantomeno, per un periodo di tempo, provvede ad una nicchia di sicurezza in cui lavorare all’opera letteraria senza altri assilli!”

Insomma non fa una piega, inoltre il premio vede il coinvolgimento del Comune di Torino, della Regione Piemonte, del Salone Internazionale del Libro, dell’Istituto Treccani. Niente che possa far presagire che i soldi, i 10.000 euro pubblicizzati dagli organizzatori, non sarebbero stati nelle casse dell’Associazione Augusta al momento della serata finale. Tutto perché – come avrebbe riferito più avanti la stessa Associazione – si sarebbe trovata in attesa di introiti a lei spettanti da parte di altri Enti che non avrebbero a loro volta onorato il debito. In un comunicato successivo infatti viene reso noto che “l’associazione chiede venia per i ritardi oltre data stabilita che non sono dipesi da volontà della stessa ma da ritardi di pagamenti da parte di Enti per cui ha lavorato, dal ritiro di sponsor a programma già avviato e, soprattutto, dall’impossibilità di percepire introiti dagli eventi che l’associazione aveva in programma presso la propria struttura sita in corso Moncalieri 18 durante un arco di tempo che copre le tre edizioni del Premio e che, purtroppo, dura ancora oggi”.

Abbiamo contattato la presidente Manuela Fusto per sapere se volesse rilasciare delle dichiarazioni al nostro giornale, ma riferisce di attendere parere legale. Chiudiamo con le parole dell’autrice Barbara Giangravè: “Avevo riposto molte speranze in questo Premio perché il mio sogno era (ed è ancora, nonostante tutto) la possibilità di vivere di questo lavoro. Mi spiego meglio. Non m’interessa diventare ricca e famosa. Scrivo non solo per me stessa ma anche per i lettori, ai quali spero di fare comunque dono di emozioni, di riflessioni, di (mi auguro) buona letteratura. Vorrei solo potermi mantenere dignitosamente, dedicando tutte le mie energie a questa attività. Senza dovere fare altro per pagare le bollette, la spesa e tutto quello di cui ognuno di noi ha bisogno per vivere”.

Parliamone...

Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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