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63 rifugiati morirono nel Mediterraneo. Per il Consiglio d’Europa l’Italia non organizzò i soccorsi

«La tragedia della barca alla deriva nel Mediterraneo con 63 morti a bordo risale al mese di marzo del 2011. I naufraghi lasciati morire senza soccorso erano 72: ne sopravvissero solo nove, gli altri 63 morirono disidratati, di fame e sete».

È quanto affermato dalla senatrice Tineke Strik (delegata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di indagare sulla responsabilità dei decessi) che ha presentato – oggi al Senato, alla Commissione per i Diritti Umani presieduta dal Senatore Pietro Marcenaro – il proprio rapporto, che vede le autorità italiane tra coloro che «condividono le responsabilità della tragica negligenza».

Dopo una lunga indagine, la parlamentare socialista olandese ha concluso che i 73 profughi che fuggivano dalla guerra civile in Libia furono intercettati e avvistati da unità militari che perlustravano la zona in quei giorni, ma nessuno raccolse il loro appello.
Addirittura – emerge dal rapporto – un elicottero, di cui non si è potuta appurare la nazionalità, lanciò delle bottiglie d’acqua e biscotti ai naufraghi, ma non tornò coi soccorsi.

«Le opportunità di salvare quelle povere vite umane, che non erano clandestini ma rifugiati con diritto d’asilo, furono tante – afferma la senatrice Strik nel rapporto già presentato anche all’Assemblea di Strasburgo e alla Commissione per i Rifugiati del Parlamento Europeo – L’Italia fu il primo Stato a ricevere la chiamata di soccorso. Avrebbe dovuto organizzare le ricerche e i soccorsi. Non l’ha fatto».

Decisa a individuare le responsabilità di una così grave negligenza (solo lo scorso anno furono più di mille, secondo le stime ufficiali, i morti nel Mediterraneo), dopo il Senato italiano la senatrice olandese cercherà di coinvolgere la prossima settimana a Bruxelles anche la Commissione europea.

 

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