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di Mariano Scuotri e Pasquale Avella.

Di solito quando si compiono vent’anni più che una vetta si raggiunge una soglia. La soglia della piena maturità, dell’inizio delle vere responsabilità, ripensando all’esperienze degli anni trascorsi. Ma lo stesso discorso si plasma appieno anche in una comunità di giovani e non, uniti dalle stesse idee da tradurre in imprese concrete.

È questa la storia di Libera. Una storia nata dalle ceneri dell’Italia stremata dalle stragi del biennio ’92-’93. Frantumata dal tritolo di Cosa Nostra, messa in ginocchio dai kalashnikov dei Casalesi, cantata da Giorgio Faletti al festival di Sanremo. “Minchia, signor tenente!” esclameremmo oggi, anche se con spirito diverso. Con lo spirito intriso di speranza di cambiamento, sicuro che le parole di Giovanni Falcone e le azioni di Don Peppe Diana non furono sotterrate insieme ai loro corpi.

Con lo spirito – forse – meno timido di scegliere la parte in cui stare. È questo lo spirito che animò Don Luigi Ciotti nel raccogliere l’insegnamento di chi aveva rimesso la vita nella lotta più estenuante e  dolorosa da combattere.

Era già tutto chiaro. Cosa potevamo fare concretamente? Scegliemmo come prima cosa di star vicini ai  familiari delle vittime. Raccogliemmo, poi, la lezione di Nino Caponnetto, secondo cui la scuola spaventa la mafia più della giustizia, iniziando ad andare negli istituti, nelle università come avviene anche oggi”.

L’azione sovversiva verso l’ordine costituito dalla mafia ha una data: 14 dicembre 1994. Quel giorno  don Ciotti, con il supporto dei primi 300 enti tra associazioni e sindacati che andranno poi a costituire il nucleo centrale della nascente Libera, indisse la prima storica petizione per il riutilizzo dei beni confiscati alla “holding” che rispondeva al nome arido di criminalità organizzata.

Ma il momento decisivo, come decisivi saranno quei milioni di firmatari, non si farà attendere poi tanto. Sboccerà come un fiore di primavera in un mite giorno di Marzo. Il dolore di chi, come Rita Borsellino, aveva visto appassire quei pochi fiori sbocciati sul letame delle mafie, divenne la linfa dello statuto approvato il 25 marzo 1995, che scorrerà negli alberi inerpicatisi in ogni piccolo, singolo presidio d’Italia. Il primo traguardo germogliò nel terreno siculo affogato di sangue da Riina, BruscaBagarella.

A gattoni “Libera Terra” incominciò a coltivare nel corleonese non solo i frutti della cooperative grazie alla legge 106/96, ma soprattutto i fermenti e la voglia di riscatto di una generazione costretta a non parlare.

Cento passi furono percorsi da quelle poche migliaia di iscritti a Niscemi (’97), Reggio Calabria (’98), Corleone (’99) nelle marce della memoria e dell’impegno. Ma i passi più importanti li percorriamo più numerosi ancora oggi verso i palazzi istituzionali, per rendere libere le menti di chi amministra un Stato movendo le pedine del gioco mafioso, per ripartire da un futuro non più costellato da impunità dovute alla prescrizione dei reati, non più pilotato dalle “mazzette” ad amministratori locali e partiti, nessuno sconto a corrotti e mafiosi, evasori e truffatori. Un futuro che 841mila persone, in continuo aumento, possono immaginare ora segnato da una rinascita etica ed economica grazie alla più grande campagna web indetta fino ad ora: Riparte il Futuro.

L’azione intrapresa mai come oggi non si nasconde – e non si deve nascondere – dietro lo schermo dei computer. Dopo vent’anni di lotta per l’emancipazione individuale e collettiva, gli oggi iscritti a Libera rinnovano l’entusiasmo con cui saranno in strada il 21 Marzo a Bologna. Spirano, così, i vénti di cambiamento, che soffiano via le tempeste dell’inverno dell’omertà, per aprire le porte alla bellezza del fresco profumo di libertà.

photo credit: Michele Docimo

 

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Di Redazione

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