https://youtu.be/Qwbh6ZHEiUc

E’ il 03 aprile, İbrahim Gökçek, su una sedia a rotelle, avvolto da una coperta, pronuncia poche parole sulla bara di Helin Bölek, giovane cantante turca, il cui corpo è coperto da una bandiera rossa:
“È una giornata storica per il mondo intero. Un’artista ha perso la vita mentre metteva in scena la sua arte. Hanno ucciso un’artista.”

Helin e İbrahim sono due membri del Grup Yorum (“commento” in turco), fondato nel 1985 da quattro giovani universitari, gruppo di riferimento della musica di protesta turca e nome noto della tradizione musicale turca contemporanea, con 23 album, più di 2 milioni di dischi venduti, concerti e tournée anche all’estero.
Il loro genere si ispira al cantore popolare turco Ruhi Su ma anche alla nueva canción chilena di Víctor Jara e gli Inti-Illimani.

I loro testi sono fortemente politici e parlano dello sfruttamento dei lavoratori, delle condizioni delle minoranze e incitano alla rivolta. Una delle loro canzoni è un rifacimento in turco di Bella ciao.

Tutto procede bene fino a quando, nel 2015, iniziano i guai giudiziari e i raid della polizia (dieci negli ultimi due anni) nell’Idil Kültür Merkezi, il centro culturale nel quartiere di Okmeydanı, area di Istanbul da sempre antigovernativa, nella quale il Grup Yorum spesso si esibisce e prova i propri pezzi.
Dal 2016 Grup Yorum non può più esibirsi in pubblico e i suoi musicisti sono stati più volte aggrediti e arrestati. Nel 2015 anche Joan Baez ha partecipato a un concerto davanti al tribunale di Istanbul per protestare contro le incarcerazioni.

Per tutto questo, Helin Bölek e İbrahim Gökçek hanno iniziato uno sciopero della fame il 16 maggio 2019.
Da cinque anni i nostri concerti, piccoli o grandi, sono vietati. Le nostre sale prova chiuse. Ci sono rimasti solo i nostri corpi per combattere.” (İbrahim Gökçek)

Helin viene arrestata il 23 febbraio del 2018, İbrahim il 4 marzo del 2019, per entrambi l’accusa è di appartenere e sostenere il Dhkp-C, organizzazione armata di estrema sinistra considerata terrorista in Turchia, Stati Uniti e Unione Europea.
A gennaio 2020 lo sciopero della fame viene convertito in “digiuno alla morte”, una forma di resistenza che implica il non mangiare fino a perdere la vita.
L’11 marzo 2020 le loro condizioni fisiche diventano critiche e le autorità decidono il trasferimento forzato in ospedale, che viene rifiutato dai due per tornare nelle loro abitazioni, ribattezzate “case della Resistenza”.

Helin Bölek muore il 3 aprile 2020, a soli 28 anni. Ibrahim Gökçek versa in condizioni sempre più critiche. Un altro attivista, Mustafa Kocac, che aveva iniziato la protesta con Helin e Ibrahim, detenuto a Smirne, è venuto a mancare il 23 aprile. Per settimane aveva cercato inutilmente di denunciare i cinque giorni di torture a cui è stato sottoposto nell’ospedale della prigione.

Il 14 febbraio 2020 si è svolta la prima udienza del processo che porta il nome del gruppo e che coinvolge circa 30 imputati. In carcere ci sono cinque musicisti, due sono fuggiti all’estero nel 2018 e gli altri sono in libertà vigilata. I musicisti del Grup Yorum hanno sempre smentito i legami col Dhkp-C e prove reali della loro colpevolezza non sono mai state trovate, ciò non ha comunque impedito le lunghe detenzioni e le violenze.

La protesta dei due artisti sembrava non dare alcun risultato, fino alla tragica morte di Helin Bölek, il cui sacrificio ha generato la conseguenza più temuta dal governo turco, un grosso impatto sulla stampa internazionale che ha finalmente ripuntato i riflettori su questa terribile storia.

Giovanni D’Errico

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Di Giovanni D'Errico

Originario della provincia di Napoli, ho studiato sociologia e da sempre lavoro nel terzo settore come mediatore culturale. A ciò si aggiunge una passione per l’immagine (fissa e in movimento) che mi porta spesso a scuola ad insegnare ai ragazzi come comunicare con il linguaggio multimediale. Ho deciso di contribuire al progetto di Notizie Migranti perché sono avvilito da come si parli sempre peggio del fenomeno delle migrazioni; c’è bisogno di raccontare davvero l’immigrazione, senza i condizionamenti che impone il consenso elettorale, portando la narrazione ad un livello più profondo, ad un livello umano.

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