Sono anni di accoglienza, questi, per il nostro paese; un’accoglienza che spesso diventa soltanto guadagno facile e nessuna vera ospitalità intesa come rispetto e possibilità di sentirsi capaci di ricominciare da capo con altre condizioni.

Le cronache sono grondanti di esempi di cattive pratiche di accoglienza, che hanno fatto indignare politica e opinione pubblica, anche solo per un breve battito di ciglia.

Dagli scandali di Mafia Capitale ai reportage nei Centri di accoglienza straordinaria del Sud Italia, l’accoglienza nei termini emergenziali in cui è sempre stata concepita pare non avere una soluzione o non poter dar buoni frutti.

Ma fortunatamente esistono anche esperienze di segno contrario, che dimostrano come sia non solo possibile ma anche applicabile l’organizzazione concreta di percorsi di autonomia e crescita individuale, sostenute da azioni concrete di sviluppo del territorio stesso dove i migranti si trovano a vivere, loro malgrado.

Due volumi editi dall’EMI ci raccontano proprio due esperienze positive di accoglienza e convivenza tra comunità molto diverse tra loro, che si sono ritrovate a dover condividere per un certo periodo spazi e quotidianità.

 “La Valle Accogliente”, di Paolo Erba, sindaco di Malegno (Brescia), e Eugenia Pennacchio e Silvia Turelli che fanno parte della Cooperativa K-pax di Malegno, che ha lavorato al Progetto Accoglienza diffusa, realizzata nel territorio della comunità di Malegno nel 2011, quando arrivarono in Valle Camonica circa 116 richiedenti asilo.

Nel breve libro viene raccontata proprio quest’esperienza, a partire dalla presa di coscienza da parte dei cittadini che una situazione emergenziale avrebbe potuto, se non ben gestita, trasformarsi in una problematica seria per l’intera collettività sociale.

Dal momento che la situazione era quella, senza nessuna possibilità di poter fare altrimenti, l’unica cosa da fare era organizzarsi e cercare di far sì che quest’esperienza potesse approdare a delle conseguenze utili sia per le persone accolte che per quelle ospitanti, in un rapporto di scambio e di crescita reciproco. Nel dettaglio, viene descritto e spiegato il progetto, le sue fasi, le attività prevista, dai corsi di italiano alla ricerca di lavoro, sottolineando come questa situazione abbia creato delle professionalità prima inesistenti, nel territorio, e abbia offerto anche a molti “italiani” delle possibilità altre rispetto a quelle abituali e solite.

Ma i modelli di accoglienza possono essere molti. In un altro libretto, sempre edito da EMI nella collana L’Italiamigliora, dedicata a come poter “rifare un paese”, l’ex sindaco di Novellare, in provincia di Reggio Emilia, spiega che tipo di “modello” sia stato applicato nel suo comune in tanti anni di nuovi incontri con cittadini altri.

accoglienza_integrazioneIn“La Padania dell’integrazione” viene raccontata, pertanto, un’esperienza lunga e intensa, supportata da dati incontrovertibili e insindacabili, di accoglienza e di buone pratiche di incontro e ascolto con persone provenienti da altri orizzonti. Come a dire, fin dal titolo, che di Padania non ne esiste una sola, che rifiuta, respinge e insulta, ma ne esistono altre più aperte, accoglienti, disponibili a non lasciarsi intimorire né dominare dalla paura. Per ogni progetto messo in atto nel suo comune, Raul Daoli realizza una scheda minuziosa e dettagliata, offrendo esempi e modelli che possano poi essere utilizzati da tutti coloro che hanno buona volontà e capacità di una vista lungimirante e per nulla prevenuta.

Giulio Gasperini

Parliamone...

Di Michele Docimo

Aversano (in prestito a Trieste), eterno indeciso: giornalista free lance, comunicatore sociale, fotoreporter, videomaker, copywriter, storyteller, formatore, speaker ed autore radiofonico. Dirige NOTIZIE MIGRANTI [www.ntoziemigranti.it] e CONTRASTOTV [www.contrastotv.it]. E’ presidente di MIGR-AZIONI APS [www.migr-azioni.info]. A sei anni ha imparato a leggere e da allora non ha più smesso. Oggi sta cercando di imparare a scrivere. È convinto che gli africani salveranno gli italiani.

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