La “struttura intelligente”. E’ così che nel Sesto rapporto sulle agromafie 2019, viene definita la mafia nella sua costante evoluzione, con le nuove reclute sempre più preparate nelle “Università italiane e internazionali più prestigiose”.
Un rapporto di 384 pagine che fornisce un quadro definito e disarmante, fatto di raccolte di dati, analisi delle intercettazioni, di cui voglio citarne una fra tutte, per tutti coloro che ancora pensano che si tratti di un sistema localizzato e settoriale: “Non mi interessano quelli che fanno bam bam per le strade, ma quelli che fanno pin pin sulla tastiera”.

Una frase intercettata in un’indagine della DNA durante un dialogo a due che, in poche parole, racchiude l’abilità della mafia di stare un passo avanti al quotidiano. Niente più scontri diretti con i poteri dello Stato, ma – come si legge nel documento – “le piste da seguire sono sempre più legate al denaro, ai suoi possibili percorsi ed impieghi, ai collegamenti internazionali, agli investimenti, alle centrali off shore, all’espansione del mercato delle critpovalute e delle monete elettroniche, alle nuove tecnologie nel settore finanziario, al blockchain, alla high frequency trading, all’import export, ai fondi di investimento internazionali”.

Un giro d’affari da 24,5 miliardi di euro, garantito grazie a “relazioni coordinate e interdipendenti”, che costano ancora più caro a chi cerca di svelarle, come citato a pag 21 in riferimento alla recente uccisione del giovanissimo giornalista slovacco Jan Kuciack e della sua compagna.

Kuciack aveva svolto diverse inchieste che avevano per protagonisti alcuni esponenti della ‘ndrangheta calabrese particolarmente attiva in Slovacchia – riporta lo studio su eurispes.eu – con ben quattro famiglie calabresi impegnate nei settori dell’agricoltura, del fotovoltaico, dell’immobiliare, del biogas, e in grado di “rastrellare decine di milioni di euro di fondi europei per l’agricoltura”.

Le conclusioni di Gian Carlo Caselli e Gian Mario Fara non lasciano dubbi: “la filiera agricola […] sembra decisamente essere uno dei settori più esposti alla aggressione dei sodalizi criminali da un lato e dall’altro di organizzazioni ed interessi che, con modalità più subdole ma per questo persino più pericolose, tentano di occupare sempre nuovi spazi condizionando la naturale logica imprenditoriale e di mercato”.

Gli alimenti che finiscono sotto esame sono tra i più diversi: dalle sementi, alla contraffazione del made in Italy, passando per la contraffazione del miele con “importazioni di miele straniero che superano di 3 volte la quantità di miele esportato […] ovvero nel mercato italiano 2 vasi di miele su 3 sono di origine straniera”.

Un consumo che fa meritare al miele il terzo posto nel mondo come alimento più contraffatto, con una perdita “per gli apicoltori onesti di 600 milioni di dollari”.

Sofferenza delle aziende agricole uguale maggiori tentativi di “influenza della criminalità organizzata” con una crescita della “filiera agromafiosa”, altrimenti definita da Caselli “mafia liquida, per indicare la capillare infiltrazione dell’economia criminale in contesti che, originariamente orientati alla legalità, sono invece sempre più spesso piegati alla logica del malaffare attraverso l’impiego di strumenti illeciti che destabilizzano il mercato”.

Un capitolo a parte viene dedicato alle “catene commerciali” ricadenti sotto un unico marchio, parte della così detta GDO (Grande Distribuzione Organizzata), che “risulta particolarmente adatta al riciclaggio di denaro, di provenienza illecita, da parte delle mafie” come confermato da alcune inchieste del 2017 dalle quali emerge una “fisionomia mafiosa” che varia da nord a sud.

Al termine del primo centinaio di pagine spicca il frutto di un’indagine che ha portato al sequestro di un “Gruppo che deteneva 48 supermercati con un patrimonio da 53 milioni di euro”.

Risultati consultabili all’interno di un rapporto che ognuno di noi dovrebbe leggere, perché solo attraverso la conoscenza che traccia il percorso dall’origine alla destinazione si può elaborare il pensiero a schiena dritta.

Elena Mascia

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Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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