In concorso nella sezione Orizzonti della 77esima Mostra internazionale del cinema di Venezia, “Guerra e Pace”è un documentario realizzato da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. In oltre due ore di film viene approfondita la relazione tra cinema e conflitti bellici, si riflette sulle conseguenze dell’uso della forza, sulla rappresentazione della guerra attraverso le immagini, sulla necessità di documentare la storia e sul valore della memoria per la maturazione delle coscienze verso la pace.
Attraverso quattro istituzioni europee , l’Istituto Luce di Roma, l’Unità di Crisi del nostro Ministero degli Esteri, l’Ecpad, Archivio militare e agenzia delle immagini del Ministero della Difesa francese, e la Cineteca Svizzera di Losanna, “Guerra e pace” come in un grande romanzo in quattro capitoli – passato remoto, passato prossimo, presente e futuro – ricompone i frammenti della memoria visiva e mette in scena la moltiplicazione delle visuali sulla violenza che accompagnano le nostre esistenze oggi.
Si parte dal primo incontro con la cinematografia, nel 1911 in occasione dell’invasione italiana in Libia, dalle sequenze attuate dai pionieri del reportage, per arrivare alle odierne riprese girate con gli smartphone dai cittadini in ogni parte del mondo. Alcuni spunti colpiscono: la mappa dell’Unità di Crisi che riporta la scritta It’s a wonderful world, un gruppo di allievi militari in posa per essere fotografati e poi addestrati a filmare i conflitti, portano a chiedersi quale autenticità abbiano le icone di guerra. Battaglie che invece, nello spazio angusto di una ripresa col telefonino, esplodono in tutta la loro raccapricciante realtà.
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti spiegano così il senso del loro film: “Crediamo che oggi più che mai sia necessario ripensare agli strumenti che prevengono, limitano, contengono i conflitti in favore del dialogo tra uomini e istituzioni. Il cinema, fin dalle sue origini, ci mostra di aver avuto un legame fortissimo con la guerra più che con la pace, sia per lo spirito che ha attraversato la prima metà del secolo scorso, sia per l’intrinseca necessità di documentare gli eventi storici, sia per la reale difficoltà di filmare un processo di pace. Abbiamo dunque deciso di riflettere sulle immagini del passato e del presente non solo come strumento di guerra, ma anche come possibile strumento di pace”.
Bruna Alasia