Lo rivela la ricerca “Barometro dell’odio – Sessismo da tastiera”. Ad averla condotta è Amnesty International, che per cinque settimane, precisamente da novembre a dicembre 2019, ha raccolto 42.143 contenuti online pubblicati su Facebook e Twitter, esaminando un campione suddiviso tra 10 donne e 10 uomini influenti nel panorama italiano e appartenenti al mondo della politica, dell’informazione, dello spettacolo e dello sport, per un totale di 20 personalità.

Sotto esame i commenti nel caso di facebook, e le menzioni nel caso di twitter, successivi a relativi post e tweet dei 20 influencer, individuando per ogni commento-reazione il tema, l’accezione, l’assenza o il livello di problematicità e infine il bersaglio, nel caso di contenuti offensivi e/o discriminatori o hate speech.

Per valutare la mole di elementi, sono stati coinvolti 60 attivisti supportati da un gruppo di esperti, in collaborazione, per la fase di analisi, con linguisti, esperti di comunicazione, sociologi, giuristi e data scientist.

Ma iniziamo a esaminare i risultati diffusi dalla ricerca: se il 18% dei contenuti rappresenta un attacco personale a un influencer, uomo o donna che sia, il dato sale al 22% quando si parla di influencer donne, classificate per il proprio modo di vestire piuttosto che per la vita sentimentale, bollate come prostitute o altri termini sessisti ricondotti all’immoralità dei comportamenti.

La situazione peggiora se le influencer prendono posizione a favore di questioni come l’aborto, la parità tra i sessi o la libera espressione delle proprie scelte sessuali.

Donne esposte a discriminazione violenta, solo per essersi presentate con una personalità autonoma e libera, tanto da evidenziare il dato secondo cui un attacco su tre rivolto a una donna è sessista; non ultime le donne che espongono le proprie idee su tematiche sociali a partire dalle migrazioni.

L’analisi ha riguardato anche un campione di gruppi facebook che menzionavano, nel titolo o nei commenti, alcune delle influencer presenti tra le 20: un terzo dei gruppi ricorre al sesso per insultare e svilire etichettando la donne come pupazzo erotico, di facili costumi, o scagliandosi letteralmente contro l’influencer “riuniti contro […] a colpi di minchia”, o nel tentativo di zittirla usando espressioni come “hai rotto il cazzo fammi una spagnola”.

Nella ricerca, spicca un caso che ha visto lo scatenarsi di ben tre rilevanti picchi di odio, ovvero quello di Carola Rackete: «Gli attacchi e gli insulti nei suoi confronti in parte riflettono stereotipi e immagini della narrazione che la etichetta come “speronatrice”, “fuorilegge”, “criminale”, “delinquente”, “zecca rossa” ecc., ma ve ne sono anche molti sessisti: “troia”, “zoccola” ecc». Un’analisi complessa che ha esaminato anche gli insulti relativi all’orientamento politico o sessuale, relativi all’aspetto fisico, che, nella loro totalità, hanno portato Amnesty a redigere una serie di raccomandazioni rivolte al Governo, tra cui il rafforzamento delle campagne di comunicazione e informazione in materia di rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione alla distruzione degli stereotipi e dei pregiudizi legati al genere e all’orientamento sessuale; l’intensificazione dei programmi di educazione all’interno delle scuole; la pronta condanna di tutti gli episodi di discorsi d’odio, in particolare quelli veicolati da politici o soggetti che ricoprono cariche pubbliche; la promozione della conoscenza diffusa tra le associazioni della società civile degli strumenti di tutela e supporto alle vittime per incentivare l’emersione del fenomeno e supportare i soggetti in grado di intraprendere azioni di difesa delle vittime ed infine la promozione di politiche volte all’educazione e alla responsabilizzazione di un uso consapevole della Rete da parte dei cittadini.

Elena Mascia

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Di Elena Mascia

Ho iniziato a scrivere da bambina, per necessità, per aprire una finestra sul mondo di qualcun altro come quelle che mi venivano aperte dai libri che leggevo, da uno in particolare che non dimenticherò: Saltafrontiera, che a soli nove anni mi aveva trasportato nella vita, nelle difficoltà, nelle tradizioni, di bambini provenienti dai più diversi paesi al mondo. Non ho mai smesso di interessarmi alle tematiche sociali, non ho mai smesso di desiderare di poter ascoltare e raccontare le storie di vita vera e vissuta, senza distinzioni. E' per questo che sono diventata giornalista pubblicista, per continuare a raccontare l'invenzione della verità, che non ha niente di sorprendente, solo rapporti di causa ed effetto tra incroci di vita, di luoghi e di persone, l'unica strada che non voglio abbandonare.

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