Almasri: C’è un giudice a Tripoli…

Può sembrare la trama di un noir geopolitico contemporaneo: un generale libico accusato di crimini di guerra, tortura e violenze sessuali, con un mandato della Corte penale internazionale, fermato in Italia viene rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato.
E oggi — dieci mesi dopo — a chiederne conto è la Libia stessa, che lo arresta e lo manda a giudizio.

Osama Njeem Almasri, ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli e figura di spicco della milizia Rada, era accusato di aver trasformato la prigione di Mitiga in un inferno.
Secondo la CPI, almeno 34 persone furono uccise e un bambino violentato sotto il suo comando.
Ma quando l’Italia lo fermò a Torino, nel gennaio scorso, bastarono due giorni perché tornasse libero e volasse a casa.

La motivazione?
Un “vizio procedurale”.
Un errore tecnico, dissero i giudici.
Peccato che quel “vizio” sia diventato una figuraccia internazionale: la Corte dell’Aia accusò Roma di non aver rispettato i propri obblighi di cooperazione, e il caso finì direttamente sul tavolo dell’ONU.

Nel frattempo, la politica italiana si arrampicava sugli specchi.
Il ministro Piantedosi parlò di “ragioni di sicurezza nazionale”, il Guardasigilli Nordio di “equivoci procedurali”.
Poi il voto della Camera, che negò l’autorizzazione a procedere contro i tre ministri coinvolti.

Fine della storia? Non proprio.

Il 5 novembre 2025, la Procura generale libica ha ordinato l’arresto di Almasri, formalizzando le accuse di tortura e omicidio di detenuti.
Un segnale forte, inatteso, che ribalta l’immagine di un Paese spesso dipinto come privo di stato di diritto.
Il premier libico Dbeibah ha parlato di “un passo storico verso la legalità”, dichiarando: “Nessuno è sopra la legge”.

E in Italia?
Silenzio.
O quasi.

L’avvocata Angela Bitonti, che difende una donna ivoriana vittima delle torture di Almasri, lo dice senza mezzi termini:

“Sono felice per la mia assistita, ma come cittadina italiana mi sento mortificata. Avevamo la possibilità di fermarlo e non l’abbiamo fatto.”

avv. Angela Bitonti

Questa vicenda non è solo giudiziaria.
È una questione di responsabilità morale.
È l’ennesima fotografia di un’Europa che parla di diritti umani ma chiude gli occhi quando le convenienze geopolitiche bussano alla porta.

Oggi la Libia dà una lezione all’Occidente: la giustizia può nascere anche dove meno ce lo aspettiamo.
E forse questo è il punto più bruciante.

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