Il Natale di chi lavora mentre gli altri festeggiano

Alle undici del mattino del 25 dicembre, le strade sono quasi vuote. Le serrande abbassate, le luci intermittenti delle decorazioni natalizie, il silenzio interrotto solo da qualche campana lontana. Poi passa un motorino. Una borsa termica sulle spalle del conducente, lo smartphone fissato al manubrio. Il pranzo di Natale di qualcun altro è pronto.
«Il 25 dicembre lavoro fino alle tre, poi forse riprendo la sera», dice Ahmed, 29 anni, rider da due. È arrivato in Italia dal Marocco e vive in una stanza condivisa con altri connazionali alla periferia della città. «A Natale ci sono più ordini. Tutti stanno a casa. Per noi è un giorno buono per lavorare, non è una festa».

Ahmed non sa esattamente quanto guadagnerà. Dipende dagli ordini, dal tempo, dall’algoritmo. «Se rifiuti troppe consegne, poi l’app ti penalizza. Anche se lavori nel giorno di Natale».

Festività senza pause

Nel lavoro delle piattaforme, il calendario conta poco. Le festività non sono diritti, ma occasioni di profitto per chi comanda e di pressione per chi consegna. Le strade sono più libere, i clienti più impazienti, le mance incerte.«Quando consegno e mi dicono “buon Natale”, io ringrazio», racconta Ahmed. «Ma poi riparto subito. Non c’è tempo per pensare».

A pochi chilometri di distanza, in un appartamento al terzo piano senza ascensore, Maria sta preparando il pranzo. Non per sé. Ha 54 anni, viene dalla Bulgaria e lavora come badante convivente. Vive nella casa dell’anziana che assiste ormai da quattro anni.
«A Natale arriveranno i suoi figli», ci dice sottovoce. «Io cucino per loro, poi resto in camera. Se serve, mi chiamano». Il suo Natale sarà una veloce videochiamata con la sorella, la sera della vigilia. «Dieci minuti. Che poi dovrò alzarmi presto».

Presenze invisibili

Nelle case, nei campi, nei magazzini, il Natale passa così: come una giornata di lavoro leggermente diversa dalle altre, ma non abbastanza da cambiare davvero le cose. Per chi opera nel lavoro domestico, fermarsi è spesso impossibile. Le esigenze di cura non vanno in vacanza, e i contratti, quando esistono, raramente prevedono vere tutele festive.
«Io non mi lamento», dice Maria. «Ma a volte mi sembra di non esistere. La festa è degli altri».

L’accoglienza che resta aperta

Anche nei centri di accoglienza, a Natale, il turno cambia come ogni giorno. Qualcuno porterà un pandoro, qualcun altro ha appeso piccole ghirlande alle porte.

«Cercheremo di fare qualcosa in più, anche solo un caffè insieme», racconta Luca, operatore sociale. «Ma per molti ospiti sarà un giorno difficile. Un giorno che ti ricorda tutto quello che non hai».
Anche qui, il lavoro continua. Distribuzione dei pasti, colloqui, gestione delle emergenze. «Fuori è festa», dice Luca. «Dentro, la vita va avanti».

Un Natale che non entra nelle immagini

Il Natale che riempie i social e i telegiornali è fatto di tavole imbandite, regali, sorrisi. Quello di Ahmed, di Maria, di migliaia di altri lavoratori resta fuori dall’inquadratura. È un Natale fatto di turni, consegne, presenze silenziose.
Non è un’eccezione. È una parte strutturale del nostro modo di vivere le feste.
Quando le luci si spengono e le città tornano alla normalità, questo lavoro resta. Invisibile, necessario, spesso malpagato. Raccontarlo non significa rovinare il Natale, ma guardarlo per intero. Anche da chi, mentre gli altri festeggiano, continua a tenere in piedi il quotidiano.

Perchè raccontare il Natale invisibile

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